Archivi mensili: Marzo 2014
Alcolismo giovanile – “A Grosseto c’è un problema reale” Ecco come risolverlo
(E non solo a Grosseto, ma in tutte le città)
(Articolo tratto dal sito http://www.ilgiunco.net/2014/03/28/alcolismo-giovanile-a-grosseto-ce-un-problema-reale-ecco-come-risolverlo/ del 28 marzo 2014)
GROSSETO – «A Grosseto esiste un problema reale fra giovani ed alcol non ultimo l’episodio del tredicenne e ancor prima il caso della ragazza in coma etilico espressioni di un disagio sociale grave e persistente in cui spesso è complice la collettività che li relega a svolgere un ruolo marginale e privo di credibilità». A parlare sono Rita De Lilla e Giuseppe Corlito, rispettivamente medico e psichiatra alcologo dell’Acat, i Club Alcologici Territoriali formati da famiglie e servitori insegnanti (facilitatori formati e continuamente aggiornati). Nella città capoluogo i club sono 18, distribuiti nei vari quartieri, periferia inclusa, con una percentuale di un Club ogni 5000 residenti.
«Qui le famiglie con problemi alcol-correlati e complessi unitamente con i servitori insegnati si impegnano a fare un percorso del tutto gratuito – affermano Corlito e De Lilla -, fruibile nell’immediato, dove la solitudine, l’omertà, la vergogna e la conseguente emarginazione lasciano il posto alla dignità della persona, alla comprensione, al sostegno reciproco facendo leva sul valore esperienziale delle famiglie che quel percorso di dolore e solitudine lo hanno già fatto (Metodo Hudolin). Il riscoprire la dimensione umana e il senso della vita è il valore aggiunto del Club a cui si somma la reciprocità e la sussidiarietà: reale, vera e fattiva , non vuota apparenza cristallizzata in sigle asfittiche ,titoli e cariche professionali».
«L’adolescente con problemi alcol correlati che minaccia di uccidersi è un caso complesso dove giocano più fattori, e che sicuramente necessita di interventi multipli – proseguono i due medici -, ma non può e non deve diventare un pesante, fastidioso fardello per la collettività giustificato da ipocrite riflessioni: “la scuola dov’è? le istituzioni dove sono? la famiglia che fa?… si sa è un extracomunitaro!”. Ma se è vero che è un caso particolare noi siamo comunque responsabili perché Noi siamo la scuola, Noi siamo le istituzioni e Noi siamo la sua Famiglia».
La sede dell’Acat è presso Centro Documentazione degli Stili di Vita Inghilterra 45 Tel. 0564 4551126 e-mail: acatgrosseto@virgilio.it. Coordinatore ACAT Nord: N. Carosi Coordinatore ACAT Sud: G. Sammaritano.
Avere le prove
(Articolo di Nadia TerranovaCronologia articolo tratto dal sito http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2014-03-25/avere-prove-183404.shtml del 26 marzo 2014)
Cosa pensavate che fosse l’alcolismo femminile: un sottile languore mentre cade la pioggia?». Se, per il fatto che Il corpo non dimentica (Mondadori – Strade blu, 2014) è scritto da una donna che racconta il suo essere stata alcolizzata, vi siete creati malinconiche aspettative sfumate di rosa, questo libro non fa per voi. Se, per il fatto che è firmato da una scrittrice di professione, sperate che vi sveli un ammiccante legame tra letteratura e sbronze, rivolgetevi altrove.
Per esempio, potreste leggere The Trip to Echo Spring (Canongate/Picador, 2013) dove Olivia Laing si chiede perché gli scrittori bevono e per darsi delle risposte ne sceglie sei, tutti americani, da Hemingway a Cheever passando per Fitzgerald e Tennessee Williams. Laing racconta che da bambina ha vissuto in una casa ad alto tasso alcolico e sottolinea anche nelle biografie altrui le depressioni e le disfunzionalità familiari respirate durante l’infanzia. Ecco, se cercate un rassicurante percorso causa-effetto non seguite Violetta Bellocchio perché si farà beffe di voi: «L’atteggiamento più frequente in chi guarda la dipendenza dall’esterno è tirare la croce addosso ai genitori. O meglio: lanciare frecciatine insulse verso i genitori. (…) Bene, io ce li ho avuti, due genitori. Due brave persone. Mai visto ubriaco nessuno dei due, ho ricevuto abbastanza abbracci».
Bene, ora siete pronti per farvi divorare dalla scrittura ipnotica di questo memoir (scusate, in Italia non si potrebbe dire memoir, anzi sì, ma solo precisando che «si legge come un romanzo»; non so con che voracità leggiate i romanzi, ma sappiate che una volta iniziato Il corpo non dimentica non alzerete gli occhi fino all’ultima pagina). Anzi no, resta da zittire chi vorrebbe svelarci che dietro ogni storia di dipendenza si nasconde un autocompiacimento, perciò dietro un libro del genere ci sarà uno sfrenato esibizionismo. Bellocchio non soltanto lo sa bene, ma lo sa dire meglio: la dipendenza ti fa vivere una storia d’amore epica con te stesso («L’altra metà di questo amore era tirarsi una coltellata in pancia. A me piaceva»). Allora che cosa porta l’autrice a smettere, ad affidarsi alle cure della dolce psicologa Meredith? (Il nome è di fantasia: ME-redith, con il pronome di prima persona a far da specchio alla voce narrante). Non sappiamo quale fra gli abissi raccontati con sincera e vivace crudeltà sia quello in cui si tocca il fondo, il momento in cui Violetta decide di risalire. I collant bucati per le marchette. L’anoressia sessuale. Lo shopping di bottiglie il pomeriggio e la mappatura dei supermercati da alternare per non destare sospetti. Il vomito. I bagni delle stanze d’albergo di Cannes e di Venezia (mentre vive la sua storia d’amore con se stessa Bellocchio ha anche un lavoro, e spesso ha a che fare con il cinema). L’invidia per le donne carine, fidanzate e normali avvertite come rivali in amore e nel lavoro, l’indifferenza per tutte quelle non sbagliate, perfettamente mediocri.
Misoginia? Al contrario, a settembre 2013 Violetta Bellocchio ha aperto www.abbiamoleprove.com, dove seleziona e pubblica «solo storie vere, una donna alla volta», attraverso un quotidiano lavoro di ricerca nell’universo femminile della non-fiction. “Avere le prove” è un’espressione chiave del libro. Se quello che è accaduto, che hai scelto accadesse, non ha un significato in sé, l’unica cosa che ha senso è lasciare o chiedere una traccia («Se non puoi dire ti amo, puoi dire ho le prove»).
Il corpo non dimentica è un libro duro, beffardo, vorticoso. Facendovi persino ridere, vi convincerà che si può scegliere di credere agli spettri («Tra i fantasmi e i matrimoni solidi, è molto più facile credere ai fantasmi») e agli zombie. Questi ultimi sono un’ossessione che l’autrice inizialmente attribuisce a Meredith e poi al padre, il quale un giorno le rivolge una precisa preghiera: «Dopo morto mi dovrete piantare un paletto di frassino nel cuore». Infine, Violetta si tradisce: «Sono di fede cristiana protestante; ho dunque accettato un morto vivente come leader spirituale e modello di purezza a cui tendere». Gli zombie, i morti viventi. Il gioco perfetto di Il corpo non dimentica è indicarli fra gli alcolisti o fra quelli che lo sono stati, non spegnendo mai del tutto il dubbio che siano invece neanche troppo nascosti fra i “puliti”.
Australia, gioco d’azzardo patologico e alcol correlati
(Articolo tratto dal sito http://www.gioconews.it/scommesse/167-uncategorised/39822-australia-gioco-d-azzardo-patologico-e-alcol-correlati del 26 marzo 2014)
Nonostante il gioco d’azzardo patologico (PG) sia riconosciuto come un disturbo clinico indipendente dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV), raramente si verifica da solo. Le persone affette da questo disturbo, infatti, mostrano in genere, una serie di altre condizioni di comorbidità, con una maggiore prevalenza di sintomatologia psichiatrica, disturbo della personalità e altre combinazioni di dipendenze. Di conseguenza la comorbidità psichiatrica è considerata un importante fattore di rischio per il PG.
Questo studio, condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Adelaide, Australia, ha come obiettivo principale quello di delineare un profilo delle comorbidità presenti in un campione di giocatori d’azzardo patologici che soddisfano, o meno, i criteri per i disturbi da consumo di alcol. Il campione di pazienti presi in esame comprendeva 140 giocatori (59 maschi e 81 femmine) con un’età media di 47 anni. Come si legge sul sito del Dipartimento Politiche Antidroga, tutti hanno seguito una serie di misure specifiche per lo studio, tra cui la Mini Intervista Neuropsichiatrica Internazionale, il Questionario Diagnostico sulla Personalità e il Test sull’Identificazione dei Disordini da Consumo di Alcol.
I RISULTATI DELL’ANALISI – Dall’analisi è emerso che la maggior parte delle condizioni psichiatriche, ed in particolare i disturbi della personalità, erano significativamente più prevalenti nei soggetti con una doppia diagnosi, seguiti dai giocatori d’azzardo che non presentavano anche disturbi da uso di alcol, infine, da coloro che non presentavano nessuno dei due disturbi. Ciò suggerisce che alti tassi di malattia psichiatrica nel gioco d’azzardo patologico possono essere fortemente influenzati da problemi causati dal consumo di alcol. Secondo i ricercatori, lo studio dovrebbe essere esteso al fine di includere una valutazione più dettagliata ed ampliare lo studio anche ad altre popolazioni.
Necknominate, la catena idiota che va spezzata al più presto
(Articolo di Monica Mosca pubblicato dal settimanale Gente n. 12)
Lo spinello in cortile a scuola: cade l’ultimo tabù, è allarme
(Articolo di Monica Mosca pubblicato dal settimanale Gente n. 13)
Euro, in aumento i falsi. Le regole per verificare banconote e monete.
(Articolo tratto dal sito http://www.adiconsumverona.it/euro-in-aumento-i-falsi-le-regole-per-verificare-banconote-e-monete/?utm_source=Adiconsum+Verona+List&utm_campaign=ed6ff0b98b-RSS_EMAIL_CAMPAIGN&utm_medium=email&utm_term=0_d01f8e73ac-ed6ff0b98b-280052501 del 20 marzo 2014)
Nella sua relazione annuale sulla falsificazione dell’euro, l’UCAMP, l’ufficio centrale antifrode dei mezzi di pagamento del Dipartimento del Tesoro, ha reso noto che nel 2013 in Italia le falsificazioni di monete e banconote sono aumentate, anche se comunque la situazione rimane sotto controllo. Le banconote da 50 euro quelle più falsificate; tra le monete quelle da 2 euro
Ecco i numeri:
· segnalazioni: 133.130
· banconote false: 1.670.728
· monete false: 36.682
Taglio di banconote più falsificato:
· banconote da 50 euro
· banconote da 20 euro
· banconote da 100 euro
Taglio di monete più falsificato:
· monete da 50 centesimi
Caratteristiche di sicurezza di banconote e monete
1. Il legislatore comunitario ha dotato le banconote in euro di specifiche caratteristiche di sicurezza che aiutano ad individuare l’eventuale falsità. Per verificare se una banconota è autentica bastano pochi attimi, principalmente basandosi sui sensi: toccare, guardare e muovere. La banconota ha infatti elementi in rilievo ottenuti tramite speciali tecniche di stampa che possono essere verificati al tatto. Su entrambi i lati in controluce la banconota evidenzia la filigrana, il filo di sicurezza e il numero (in trasparenza). Muovendola è inoltre possibile osservare , sul fronte, l’immagine cangiante dell’ologramma. Infine, sul retro, inclinando leggermente il biglietto, si noterà una striscia brillante sui tagli bassi e il numero del taglio, di colore cangiante, su quelli elevati.
2. Per quel che riguarda invece le monete, esse sono prodotte con tecnologie avanzate. Per tale ragione presentano caratteristiche di sicurezza, verificabili da dispositivi automatici, che ne rendono difficile la falsificazione e possono essere utilizzate nei distributori automatici di tutta l’area dell’euro, indipendentemente dal paese in cui sono state coniate. Grazie a un sofisticato processo di fabbricazione, i tagli di valore più elevato (1 e 2 euro) sono realizzati con una composizione a strati e bimetallica che conferisce particolari proprietà magnetiche. Altre caratteristiche delle monete ineriscono ad incisioni sul bordo e l’uso di leghe speciali per il conio.
Alcol: 20mila morti e 50 miliardi vi sembrano pochi?
(Articolo tratto dal sito http://www.avvenire.it/Rubriche/Pagine/Smemorati%20e%20dintorni/Alcol%20%2020mila%20morti%20e%2050%20miliardi%20vi%20sembrano%20pochi%20_20140322.aspx?rubrica=Smemorati%20e%20dintorni del 22 marzo 2014)
La notizia nuda e cruda potrebbe essere scambiata per una goliardata o una leggerezza. Ma forse è meglio non archiviarla senza prima riflettervi un po’. Eccola: un bar di Padova ha lanciato via volantino una sorta di sfida alcolica riservata agli studenti. Chi riesce a scolarsi 12 “shot” (quelli che noi chiameremmo cicchetti) in mezzo minuto beve e non paga. Non una novità assoluta, purtroppo, visto che anche qui il web – che quando c’è da suggerire pessime idee non fa mai mancare il proprio apporto – ha già aperto la strada con vari “giochi” demenziali tipo: bere alcol senza freni, filmarsi e mettere il tutto in Rete. Sfidando altri partecipanti. Ovviamente vince chi più si sbronza.
Ma c’è poco da pensare a goliardate o leggerezze. L’alcolismo, a partire da quello giovanile, è una coltellata sociale che sta provocando gravissime ferite. Qualche dato, per farci un’idea. Nel mondo, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, interessa circa 140 milioni di persone e provoca due milioni e mezzo di morti l’anno. In Italia, i numeri non spingono all’ottimismo anche se, va detto subito, negli ultimi tempi qualche segnale positivo c’è. Ma i soggetti a rischio solo nell’età compresa fra gli 11 e i 24 anni sarebbero ancora più di un milione.
Proprio così, 11 anni, non è un refuso: in Lombardia, ad esempio, il 4 per cento degli undicenni e il 15 per cento dei quindicenni dichiara di essersi ubriacato almeno una volta nella pur breve vita. Non a caso sempre più minorenni finiti in coma etilico concludono le bravate di una sera affollando il pronto soccorso degli ospedali. Verrebbe da chiedersi come dove e quando questi bambinetti o poco più si procurino bevande di ogni tipo.
Giovanissimi e non solo, naturalmente. Nel nostro Paese i morti per abuso di alcol o per problemi ad esso correlati sono almeno 20mila l’anno. E, dopo la pietà per le vite perse, c’è da mettere in conto anche il peso sociale: tra costi sanitari, assenteismo, disagi familiari e così via. Qualcuno ha calcolato in almeno 50 miliardi di euro la bolletta annua dell’alcolismo.
Un dramma sociale poco considerato? Probabilmente nei decenni si è perso tempo, si sono rincorse – legittimamente – altre emergenze, dimenticando – non legittimamente – questa. Anche qui le lobby e il business contano, anche qui vanno infrante le regole perverse del micidiale trittico droga-alcol-gioco d’azzardo. Ma se è vero che negli ultimi 3 anni in Italia i consumatori a rischio sono scesi dal 15,2 al 13,8 per cento, qualche merito va riconosciuto a leggi più mirate («Vietato vendere alcolici ai minori», ma in quanti poi osservano questa norma?), iniziative istituzionali, impegno di associazioni.
E poi anche nel caos della Rete qualcosa si muove: c’è chi, replicando al folle gioco degli ubriaconi, chiama a filmare la lettura di un libro oppure lo svolgimento di “buone azioni”, quali distribuire pasti ai senzatetto o donare il sangue o partecipare a iniziative di volontariato. Forse è meglio di una sbronza.
QUESTIONARI A OLTRE 1500 RAGAZZI DAI 14 AI 17 ANNI. I MASCHI I PIU’ «UBRIACONI»
Abituato a bere il 63% dei liceali E arriva anche «l’alcol estremo»
(Articolo tratto dal sito http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2014/20-marzo-2014/abituato-bere-63percento-liceali-arriva-anche-l-alcol-estremo%7Cscheda-2224238983353.shtml del 20 marzo 2014)
Indagine della Asl Napoli nord. Si diffonde l’eye balling e il Tampax
NAPOLI – «Si è detto molto dell’eye balling, che consiste nel versarsi della vodka direttamente negli occhi; ma esistono anche altre pratiche che stanno prendendo piede tra i giovanissimi, ad esempio l’assunzione di alcol attraverso le mucose vaginali o rettali». La rivelazione, a dir poco sconvolgente, arriva dal direttore del Dipartimento di dipendenze patologiche dell’Asl Napoli 2 Nord, Giorgio Di Lauro. «Assieme alla mia equipe – spiega – abbiamo sondato i comportamenti di millecinquecento studenti dell’hinterland partenopeo, con l’intento di approfondire gli stili di vita e comprendere l’effettiva percezione del rischio da parte dei giovanissimi, in particolar modo nel loro rapporto con il bere». Con dei questionari ad hoc, appunto più di 1.500, distribuiti nelle scuole di Pozzuoli, Marano, Caivano, Ischia, Giugliano, Acerra, Casavatore e Sant’Antimo, gli psicologi e i medici dell’Asl sono riusciti comprendere meglio il mondo dell’alcolismo giovanile, ma anche a scoprire nuove tecniche che i ragazzi usano per aumentare gli effetti dell’alcol.
DATI ALLARMANTI – E basta guardare ai dati per restare allarmati. Su un campione composto dal 42 per cento di maschi e dal 58 per cento di femmine, l’abitudine al consumo di alcol è spaventosa. Il 66 per cento delle ragazze e addirittura l’82 per cento dei ragazzi dichiara di consumare abitualmente alcolici in occasione di uscite con gli amici. In totale il 63 per cento degli intervistati; quindi, quasi due terzi del campione. Inoltre, il 54 per cento dichiara di aver consumato superalcolici; anche se solo il 15 per cento sostiene di essersi ubriacato nell’ultimo mese. La percentuale scende ulteriormente quando viene chiesto ai ragazzi con che frequenza si siano ubriacati nell’ultimo mese, solo il 7 per cento ammette di essere stato male tra le 2 e le 4 volte.
DESIDERIO DI EMULAZIONE – La parte più sconvolgente della ricerca effettuata dal Dipartimento di dipendenze patologiche dell’Asl riguarda però le cosiddette «prassi anomale», ovvero quei comportamenti che non possono essere legati ad una dipendenza fisica, bensì ad un desiderio di emulazione. Quella che gli addetti ai lavori definiscono «dipendenza comportamentale». La più nota, come detto, riguarda l’eye balling; un fenomeno arrivato dagli Stati Uniti e che si è diffuso nel Nord Europa e ora fa capolino da noi. Per quanto riguarda lo studio dell’Asl, il 7 per cento dei ragazzi dichiara di aver sperimentato pratiche alternative per l’assunzione di alcol, un 18 per cento ha amici che le hanno sperimentate e il 15 per cento ne ha sentito parlare. E in quel 7 per cento sono ricompresi i ragazzi che hanno assunto alcol attraverso le musco vaginali o anali. «Conoscevamo questo sistema – aggiunge Di Lauro -, ma non credevamo che iniziasse già a diffondersi tra i giovani dell’hinterland di Napoli. In partica i ragazzi imbevono con un superalcolico, di solito vodka, un tampone che poi rilascerà velocemente la sostanza. Fortunatamente si tratta di pratiche poco diffuse, ma è comunque un fenomeno preoccupante. Quando si assume alcol in questo modo, infatti, questo entra direttamente nel sangue e l’effetto è moltiplicato in maniera esponenziale. Per questo si rischia nell’immediato un coma etilico, e a lungo termine danni e ulcere alle mucose».
COINVOLGIMENTO – Per il dottor Di Lauro, la questione centrale è analizzare le ragioni del coinvolgimento di questi ragazzi nei comportamenti a rischio. Analisi che, spiega, non può non tener conto delle funzioni che questo comportamenti possono rivestire per chi li attua. «I comportamenti degli adolescenti – conclude – anche quelli pericolosi, servono a raggiungere obiettivi di crescita. Preoccupa naturalmente il fatto che queste prassi estreme stiano iniziando a diffondersi, e che siano ben note già ad oltre il 7 per cento della popolazione intervistata. In base alla nostra esperienza questi sono indicatori di un problema che presto potrebbe diventare molto più esteso».
Gioco d’azzardo e il boom degli over 65. L’indagine di Auser, Gruppo Abele e Libera
I numeri parlano chiaro. Nel 2012 sono stati spesi per il gioco d’azzardo oltre 88 miliardi di euro. Ma per avere un’idea del “boom” del fenomeno in questi ultimi anni, va presa come riferimento la spesa del 2002: 14,3 miliardi. In 10 anni si è sestuplicata. Dal 1999 a oggi si sono moltiplicate le possibilità di gioco: è possibile giocare tutti i giorni, a qualsiasi ora e in tutte le modalità, anche da casa. Se fino al 2003 la liberalizzazione del gioco d’azzardo pubblico puntava a “fare cassa” a beneficio del bilancio dello Stato, da allora in poi, si è invece deciso di incrementare l’intera economia del mercato del gioco, dando luogo ad una vera e propria industria: 5 mila aziende, 120 mila addetti, mobilitando il 4% del PIL nazionale.
Dai bookmakers delle scommesse, alle ditte che producono e gestiscono le apparecchiature tecnologiche (si pensi alle slot-machines), alle piattaforme per il gioco on line, alle sale da gioco spuntate come funghi nelle nostre città: è così che l’Italia ha raggiunto il primo posto in Europa e il terzo al mondo tra le nazioni che giocano di più d’azzardo. Non senza conseguenze sociali.
La platea dei giocatori, che si è allargata a dismisura, non ha più niente a che fare con habitué dei casinò, con chi passa le nottate ai tavoli da poker o scommette alle corse ippiche. Sono in crescita coloro che diventano dipendenti da slot machines, Vlt, lotterie e scommesse di ogni tipo. Spendono nell’azzardo più di quanto guadagnano, vendono i propri beni, fanno debiti, ricorrono all’usura, mettendo a repentaglio la sicurezza economica dell’intera famiglia. Il periodo di crisi economica, paradossalmente, non invita alle spese oculate. Si tenta il colpo di fortuna, per risollevarsi, o nella speranza-illusione di potersi concedere, magicamente, un’altra vita.
Gli anziani e i pensionati, come tutti, giocano per vincere, ma rischiano d’azzardo anche per altri motivi: passare il tempo, incontrare altre persone. Quanto spendono mensilmente nel gioco? Quale consapevolezza hanno sviluppato rispetto ai rischi?
Auser e Gruppo Abele, insieme a Libera, hanno condotto una ricerca su un campione di circa 1000 anziani in 15 regioni. Un approfondimento che fa riflettere sulla vulnerabilità della popolazione over 65 e sui possibili fattori di protezione e prevenzione. Dai numeri, emerge che il 70% del campione ha giocato almeno una volta nell’anno precedente l’indagine.
Dunque, pur assumendo per il loro valore relativo i dati della ricerca condotta con Auser, rimane indubbio l’innalzamento della stima percentuale del gioco d’azzardo a elevata problematicità rispetto alla platea dell’insieme dei giocatori. Tutti gli studi epidemiologici e le rilevazioni di settore (a dire il vero soprattutto in Italia carenti e un po’ datati, perché nella stragrande maggioranza precedono il “boom” della smoderata diffusone del fenomeno) considerano un rischio di dipendenza patologica tra l’1% e il 3% del totale dei giocatori. Dall’indagine, il numero dei giocatori over 65 a elevata problematicità raggiunge circa l’8%.
Sommando i giocatori di “media problematicità” si arriva al 16,4%. A questa percentuale, va ancora aggiunto il 14,4% della fascia borderline. Pur prendendo il dato con le “pinze” della prudenza, resta chiaro il suo valore indiziario: più si offre gioco, più si gioca. Più sono i giocatori, più alto il numero di persone potenzialmente a rischio di diventare giocatori problematici.